ECM è l'acronimo di Editions of
Contemporary Music, un'etichetta discografica fondata da Manfred Eicher nel
1969 a Monaco di Baviera.
Ma definire ECM solo un'etichetta
discografica, limitandosi a raccontarne le origini, segnalarne gli artisti o
calcolare gli incassi , non risulterebbe riduttivo ma addirittura sterile.
Le considerazioni di carattere
commerciale non rientrano in questa equazione e non è mio interesse analizzare
questi aspetti, quanto lo è certamente sottolineare la mente e il coraggio del suo fondatore Manfred Eicher.
Come spesso accade in una storia, ogni
avvenimento saliente è frutto di un personaggio, del suo carattere e del suo
"essere"; e forse, oserei dire, della sua provenienza ancestrale.
È ovvio però che alcuni cenni storici
in merito alla nascita e la storia di Ecm siano sicuramente doverosi per dare
un’idea generale a chi per la prima volta sente il nome di questa etichetta.
Ma è meglio procedere con ordine, così
da poter aver una visione chiara di questo “spazio sonoro” che porta il nome di
ECM.
Come già detto, la label viene fondata
nel 1969 a Monaco di Baviera da Manfred
Eicher.
Eicher, figlio d'arte, da giovanissimo studia all’Accademia di Berlino,
suona il basso e inseguito il contrabbasso nei Berliner Philharmoniker
diretti da Herbert von Karajan. Poi, folgorato dalla luce del jazz, ha fonda la Ecm nel 1969, a 26 anni, dopo
esser riuscito a trovare i fondi strettamente necessari allo scopo, decide quindi di investire 16000 marchi per,
cito testualmente, "esprimere i suoi gusti musicali e i suoi desideri".
Si
dice che la fortuna aiuta gli audaci, ma nel suo caso c'è stato molto altro:
competenza, serietà, rigore assoluto nella scelta degli artisti e nella bontà
delle registrazioni.
Eicher, sin dai suoi inizi, ha uno stile e un modo di fare insolito,
diverso dagli altri produttori; lui non
vuole produrre denaro, vuole produrre prima di tutto musica.
Così viaggia in lungo e in largo per
l’Europa scegliendo di andare dove vivono i musicisti da scritturare, prenota
studi di registrazione direttamente in quei luoghi e soprattutto offre delle
possibilità a musicisti quasi del tutto sconosciuti.
Scommette su di loro, ma soprattutto scommette sul suo modo di
ascoltare.
Un esempio su tutti è un chitarrista di 21 anni che
Eicher aveva sentito su un disco del già noto Gary Burton, il nome del
chitarrista è Pat Metheny.
Offramp |
Il primo long playing è stato un pianoforte solo di
Mal Waldron, «Free At Last», che non è mai uscito fuori catalogo, come del
resto quasi tutta la produzione della casa.
Poi
il suo fiuto ha fatto anche il resto.
Ha
scritturato il sassofonista inglese John Surman, il sassofonista
norvegese Jan Garbarek, prima sconosciuto e il chitarrista americano Bill
Frisell. Nel 1970 Eicher nota il
pianista Keith Jarrett durante un tour europeo (o forse nel 1969: si
dice che il produttore fosse tra il pubblico durante il trionfo ottenuto da
Jarrett il 4 ottobre al Teatro Comunale di Bologna, ma non è stato possibile
avere la conferma autentica). Ma Jarrett in America è sotto contratto
discografico con la Impulse.
Così Eicher si accontenta di ottenere una firma per
l'Europa e
centra in pieno l'obiettivo: nel 1971 esce il long playing per pianoforte solo
«Facing You», nel 1972 il doppio «Lausanne/Bremen» e nel 1975 il magnifico
«Koln Concert».
Quest’ultimo
disco è a tutt'oggi uno dei più venduti della storia del jazz (circa quattro
milioni di copie) e sarà proprio Koln Concert a mettere definitivamente al
riparo la giovane etichetta da qualsiasi sorpresa e, insieme ai due precedenti,
a segnare l'inizio di una collaborazione esclusiva che dura tuttora.
Eicher dimostra un innato amore per
l'ascolto; ascolto inteso nel modo più nobile ed elevato del termine: utilizzo
le mie orecchie come un percorso, una strada che vede il suo arrivo dritto al
centro del cuore.
Quello che poi è lo scopo primario
della musica.
La ricerca di Eicher parte da elementi
piuttosto semplici eppure spesso trascurati dalla maggior parte dei produttori.
E’ stato tra i primi produttori a
concepire il jazz basandosi su un ascolto di tipo classico, per niente vicino
alle musiche popolari (rock e pop, funk e blues) quanto di ordine aurico e –
solo la definizione inglese può aiutare a capire meglio – orientata alla
western classical music. D’altronde la cultura musicale americana del 900 era
stata fino ad allora rappresentata per lo più, ed anche nel jazz, nell’ambito
di un retaggio pop(olare). Coniugando questo approccio al suono a repertori e
musicisti di estrazione differente, con particolari inclinazioni rispetto ad
estetiche visionarie e spesso filmiche – sua passione della quale parleremo più
avanti, quando era studente e scappava
dai corsi per rinchiudersi nei cinema a vedere film di Godard, Bresson,
Truffaut, Bergman, Antonioni, Rossellini – ha declinato la sua ideologia.
L’arma vincente di Eicher è sicuramente
il coraggio di osare, si affida totalmente al suo istinto e cerca cocktail di musicisti e di generi che
nessuno si azzarderebbe nemmeno a
pensare, dando spazio a progetti apparentemente folli che poi risultano
essere però vincenti .
Un esempio lo troviamo nei primi duetti
“insoliti” come quello di Keith Jarrett (pianista) e Jan Garbarek (sax soprano)
o di Barre Phillips e John Surman.
Innocence |
La sua ECM è una delle etichette
indipendenti che meglio ha scandito la corsa del jazz negli ultimi
quarant’anni, come in passato Prestige, Blue Note, Verve, Impulse e poche
altre. Eicher ha lavorato in modo insolito, strano. Acerbo in termini di
produzione, non conteneva avvisaglie e indizi che di lì a qualche tempo si
sarebbero forgiati per creare la filosofia Ecm.
Innocence |
Come già detto, il razzo di Eicher è
partito dal lancio mondiale del sassofonista norvegese Jan Garbarek, ma
continua nel tempo con il duo Gary Burton e Chick Corea, l’Art Ensemble of
Chicago, gli Oregon, le panoramiche del chitarrista Terje Rypdal, il quarto
mondo di Jon Hassell, il paradisiaco stormo di Bill Frisell, l’arte suprema di
Charles Lloyd, il Brasile di Egberto Gismonti, Paul Bley e ovviamente Keith
Jarrett , di cui ha prodotto buona parte della sua produzione, in piano
solo, in trio, nell’European quartet, grandi capolavori: dai già citati Facing
You e The Köln Concert a My song, Personal Mountains e Nude Ants; grandi best
seller del settore.
My song |
My song |
Ma in realtà sono molte altre le qualità della Ecm.
(Le tappe della vita - Caspar David Friedrich)
|
Per esempio la maniera di confezionare
i dischi, prima i vinili e ora i cd, utilizzando immagini che già di per sé sono
opere d’arte.
Infatti Eicher è anche molto attento
allo stile delle copertine e dei booklet dei dischi ECM e le sue copertine trasudano arte in una forma minimale ma efficace.
Sono un invito alla visione, e sono state
spesso paragonate ai dipinti del pittore romantico Caspar David Friedrich,
pieni di paesaggi esterni e interni che
accompagnano chi guarda e chi ascolta in uno stato di contemplazione, alla
ricerca profonda di se stesso.
Copertina di "Silencio" - Arvo Part |
Un altro indiscutibile punto di forza
di ECM è poi la modalità di registrazione: la trasparenza, la riproduzione il
più possibile fedele all’originale, il mantenimento dell’aura nonostante la sua
riproducibilità tecnica, queste le
qualità sonore. Tutto ciò porta ad una direzione acustica, filosofica e
artistica ma anche strettamente pratica della musica. Luoghi come
l'auditorium di Lugano, dove l'acustica è perfetta e si può lavorare senza
cuffie, ottenendo una dinamica straordinaria che invece con le cuffie non si
può avere grazie a un percorso di registrazione in cui si possa fare a meno
della postproduzione. "Abbiamo pochi giorni per lavorare e registrare -
dice - due o tre, e quindi è necessario che gli artisti arrivino pronti in sala
di registrazione". Sulla musica digitale, infine, Eicher non ha dubbi: "Non fa per me". Per il
produttore tedesco catturare il suono significa catturarne la
tridimensionalità, quello che lui chiama "idea-suono", che nelle
compressioni dei formati digitali inevitabilmente si perde. E poi, conclude, "a me piace anche la sensazione tattile
dell'oggetto, la sua veste grafica", caratteristica delle copertine
dei dischi ECM, che nel formato 'liquido' non esistono.
Ma lasciamo alle parole dello stesso
Eicher la possibilità di chiarire il suo pensiero : “La mia preoccupazione quando ho fondato ECM è stata quella di
rispettare tutti gli aspetti della musica. Questo significava essere in grado
di ascoltare ogni sfumatura dello strumento, ogni colore, e soprattutto
rispettare le dinamiche del suono esattamente come il suono veniva dato dal
musicista. Questo era un modo piuttosto diverso di registrare il jazz, ma il
pubblico è stato sensibile ad esso.”
Come del resto è pratica nota, anche il
rapporto tra arte e commercio in Eicher è chiaro, per niente ambiguo. L’uno
non prescinde dall’altro, al contrario (The Köln Concert di Jarrett insegna) il
disco può essere un prodotto di largo consumo, senza che ciò screditi l’essenza
più intima dell’arte. Tutto, anche i minimi dettagli, contribuisce alla stessa
causa, le foto, i booklet minimali. La creazione di un prodotto culturale, e
che questo sia venduto il più possibile, quasi in tutto il mondo. Ciò che la
Ecm in questi anni è riuscita a fare.
Il pionerismo è un altro elemento qualificante da non trascurare. Manfred è un anticipatore, uno scopritore, un acuto osservatore. Ha sdoganato la fertile scena del nord Europa negli anni ’70 così come ha svelato tanti da sud a est del mondo. E con l’Italia vanta un legame particolare, per la ECM incidono orami stabilmente diversi nostri musicisti. Enrico Rava che, dopo la parentesi di metà e fine anni ’70, è tornato in pianta stabile nella scuderia. Come lui Gianluigi Trovesi, Stefano Bollani, Stefano Battaglia ed ultimamente anche Paolo Fresu vantano la collaborazione con ECM.
Il pionerismo è un altro elemento qualificante da non trascurare. Manfred è un anticipatore, uno scopritore, un acuto osservatore. Ha sdoganato la fertile scena del nord Europa negli anni ’70 così come ha svelato tanti da sud a est del mondo. E con l’Italia vanta un legame particolare, per la ECM incidono orami stabilmente diversi nostri musicisti. Enrico Rava che, dopo la parentesi di metà e fine anni ’70, è tornato in pianta stabile nella scuderia. Come lui Gianluigi Trovesi, Stefano Bollani, Stefano Battaglia ed ultimamente anche Paolo Fresu vantano la collaborazione con ECM.
In
un intervista Bollani parla della prima volta che entrò in sala con Eicher,
della tensione che provava e di come si sentisse in soggezione di fronte a lui.
La scaletta dell’album l’ha decisa Eicher e Bollani l’ha approvata. Ricorda poi
come (ingenuamente dice Bollani) fece notare a Eicher come l’ultimo accordo
dell’ultimo brano del disco fosse lo stesso con il quale il disco si apriva e
Eicher rispose <<Yes, of
course!>>.
Nel
1984 Eicher inaugura un altro ramo della ECM: la ECM New Series, dove si dedica
interamente alla musica classica e fa un grande esordio: Tabula Rasa di Arvo Pärt. Ma quello che più
contraddistingue questo nuovo ramo della ECM è come Eicher riesca ancora a far suonare insieme idee che fra loro sembrano separate. Ad esempio, il più
grande successo che la ECM New Series registra è Officium con Jan
Garbarek e il quartetto vocale Hilliard
Ensemble, registrato all’interno del monastero di Saint Gerold.
Sono queste notevoli intuizioni che fanno di Eicher un grande produttore. Anche in questo frangente, il suo scopo non è
quello di fare ciò che più richiede il mercato o ciò che più si ascolta al
momento.
Lui è sempre alla ricerca del bello, dell’esperimento che riesce a trasmettere qualcosa a chi lo ascolta. Nelle sue produzioni non c’è jazz preso e rielaborato dal Real Book, ne la tradizione europea. Ci sono entrambe ma con il tocco originale dell’artista, di chi pensa quello che deve essere suonato. Per questo Eicher cura tutte le sue produzioni dall’inizio alla fine, da quando i musicisti sono in sala d’incisione fino alla copertina dell’album ed è per questo che la linea dell’ECM conserva in ogni produzione quel minimalismo estetico che fa da filo conduttore.
Arvo part |
Lui è sempre alla ricerca del bello, dell’esperimento che riesce a trasmettere qualcosa a chi lo ascolta. Nelle sue produzioni non c’è jazz preso e rielaborato dal Real Book, ne la tradizione europea. Ci sono entrambe ma con il tocco originale dell’artista, di chi pensa quello che deve essere suonato. Per questo Eicher cura tutte le sue produzioni dall’inizio alla fine, da quando i musicisti sono in sala d’incisione fino alla copertina dell’album ed è per questo che la linea dell’ECM conserva in ogni produzione quel minimalismo estetico che fa da filo conduttore.
“Un uomo seduto in
una stanza, riflette sulla musica e ascolta i silenzi, i riverberi, le emozioni
di un flusso sonoro che arriva da lontano. Comincia così il viaggio di Manfred
Eicher intorno al mondo alla ricerca delle fonti della musica, nei luoghi in
cui i suoi interpreti vivono e gli strumenti con cui lavorano.
Una piccola chiesa in Lituania, con una pala d'altare splendidamente colorata. Un coro, una sezione di archi. Un direttore illuminato dalla luce fioca accesa sul leggio. Due uomini ascoltano la musica infondo alla sala, commentano, si interrogano, interrompono l'esecuzione, discutono con il direttore, riprendono la partitura. L'incontro con Arvo Pärt è la prima tappa del percorso attraverso concerti e le sedute di registrazione. Un racconto scandito da parole e passione, dai preparativi e dall'attenzione al particolare: tutto ciò che serve per portare l'idea musicale dalla sua concezione fino alla sua manifestazione in disco e, soprattutto, in concerto. “
Una piccola chiesa in Lituania, con una pala d'altare splendidamente colorata. Un coro, una sezione di archi. Un direttore illuminato dalla luce fioca accesa sul leggio. Due uomini ascoltano la musica infondo alla sala, commentano, si interrogano, interrompono l'esecuzione, discutono con il direttore, riprendono la partitura. L'incontro con Arvo Pärt è la prima tappa del percorso attraverso concerti e le sedute di registrazione. Un racconto scandito da parole e passione, dai preparativi e dall'attenzione al particolare: tutto ciò che serve per portare l'idea musicale dalla sua concezione fino alla sua manifestazione in disco e, soprattutto, in concerto. “
La
risposta di Eicher riguardo l’incontro con il compositore estone Arvo Part:
"Mi piacciono gli incidenti casuali. Non vado ai festival perché lì in
genere ci sono musicisti già noti. Ascolto quello che capita e spesso scopro grandi
artisti solo per caso. Così è successo per Arvo Part. Guidavo da Stoccarda a Zurigo, era una notte senza
stelle, e in radio trasmettevano una musica che aveva qualcosa di solitario e
speciale che non avevo mai sentito. Mi sono fermato per ascoltarla, ma mi è
servito un anno e mezzo per sapere che era musica di Arvo Part". Così il
musicista e produttore discografico tedesco, Manfred Eicher, fondatore della
casa discografica Ecm, racconta al Prix Italia di Torino il suo incontro con la
musica del compositore estone. Era il 1980, un incontro casuale "perché
spesso i grandi talenti della musica si incontrano per caso. Io non vado ai
festival - sottolinea Eicher - perché lì ci sono musicisti già noti e a me
piace scoprirli"
In realtà Part era già un compositore affermato, ma da
quel momento inizia una collaborazione tra il musicista e la ECM di Eicher che
porta alla registrazione per l'etichetta tedesca delle più importanti
composizioni di Part.
Per Eicher quello che conta è "il suono, la sua
scultura", e vuole "registrare diversamente da come si registrava
allora".
Tanto per segnare le possibili differenze il secondo personaggio incrociato nel percorso è la compositrice greca Eleni Karaindrou.
Arvo part |
Tanto per segnare le possibili differenze il secondo personaggio incrociato nel percorso è la compositrice greca Eleni Karaindrou.
E
poi ancora Anouar Brahem, Nik Bärtsch e i Ronin, Dino Saluzzi, Anja Lechner,
Marilyn Mazur e il duo formato da Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia. Le matrici
etniche possono essere un substrato comune a molti dei personaggi coinvolti, ma
entrano in gioco anche sperimentazione e jazz, intensità delle interpretazioni,
pulizia del suono e cura dei particolari. Senza dubbio la scelta dei personaggi
pone in primo piano non tanto i personalismi dei singoli - Eicher, compreso -
quanto la forza complessiva del percorso.
La forza della ECM viene da una traiettoria che si è mantenuta ragionevolmente al di sopra del livello di fiducia consentito dagli ascoltatori, oltre che dal livello medio delle produzioni. Scelte intelligenti - come quella di non svendere il catalogo o di non rieditare in maniera costante e capziosa i lavori aggiungendo bonus track al grido di definitive edition - hanno dato forza all'etichetta. La coerenza del prodotto e tanti altri elementi hanno fatto si che il marchio ECM fosse al di sopra del singolo disco - e, di conseguenza, al di sopra dell'eventuale flop di qualche lavoro.
Forse è anche inutile dirlo, ma avviare al giorno d'oggi una raccolta di musica contemporanea - per riprendere l'acronimo dell'etichetta, Editions of Contemporary Music - è una scommessa con un punteggio decisamente più alto rispetto al momento in cui la stessa idea venne messa in pratica da Eicher. Difficoltà che rende ancor più prezioso il ruolo di suscitatore avuto dal produttore in questi anni.
La forza della ECM viene da una traiettoria che si è mantenuta ragionevolmente al di sopra del livello di fiducia consentito dagli ascoltatori, oltre che dal livello medio delle produzioni. Scelte intelligenti - come quella di non svendere il catalogo o di non rieditare in maniera costante e capziosa i lavori aggiungendo bonus track al grido di definitive edition - hanno dato forza all'etichetta. La coerenza del prodotto e tanti altri elementi hanno fatto si che il marchio ECM fosse al di sopra del singolo disco - e, di conseguenza, al di sopra dell'eventuale flop di qualche lavoro.
Forse è anche inutile dirlo, ma avviare al giorno d'oggi una raccolta di musica contemporanea - per riprendere l'acronimo dell'etichetta, Editions of Contemporary Music - è una scommessa con un punteggio decisamente più alto rispetto al momento in cui la stessa idea venne messa in pratica da Eicher. Difficoltà che rende ancor più prezioso il ruolo di suscitatore avuto dal produttore in questi anni.
SOUNDS AND SILENCE (Travels with Manfred Eicher)
Sounds
and silence, Travels with Manfred Eicher, documenta il modo di intendere la
musica e il processo che informa i dischi della ECM. I due registi, gli
svizzeri Peter Guyer e Norbert Wiedmer, non celebrano Eicher - e, d'altronde,
non ce n'è nessun bisogno, i dischi parlano da soli. Le immagini e le musiche
riportano allo spettatore le intenzioni di Eicher, il suo percorso sempre
coerente quanto aperto al continuo divenire della musica, a ridefinire le
griglie espressive a seconda delle necessità emotive.
Guyer
e Wiedmer accostano di continuo le singole esperienze e questo rende un grande
servizio al documentario: il filo narrativo è sviluppato in maniera del tutto
corale e sembra di vedere i vari protagonisti passarsi il testimone del
racconto per mezzo di parole e musica, per mezzo di esperienze e ricordi.
I registi svizzeri Norbert Wiedmer e Peter Guyer hanno
seguito per cinque anni Manfred Eicher durante le sessioni di registrazioni in
tutto il mondo, condensando il loro lavoro in un’ora e mezza di registrazione
che ha fatto il giro di diversi festival, ad iniziare dal Festival di Locarno.
<<Ovunque
Manfred opera il suo impegno è al cento per cento. Questa è la natura della
passione. Egli dedica tutto sé stesso in quel momento e sostiene completamente
l’ artista>>, affermano P.Guyer e N. Wiedmer.
<<Per
Eicher la musica non è un oggetto di consumo. Dentro ci sono gli artisti, le
loro storie, il loro universo, il loro talento. In un’epoca in cui dominano
stelle della musica costruite per la Tv, una marea di videoclips e di
colonne sonore, vogliamo proporre un altro modo di vedere la musica, catturando
i suoni e dando spazio al silenzio>>.
Sounds
and silence è un racconto di voci e di immagini in presa diretta. Ambienti e
lingue diverse, colori e luci estremamente differenti, situazioni varie dove i
musicisti e il loro produttore danno corpo alla musica. I due registi svizzeri
con una sapiente scelta di luci e inquadrature miscelano il racconto con le
immagini raccolte intorno agli interpreti, ispirazioni e moniti concreti, vita
quotidiana e avvenimenti epocali come la guerra in Libano. Nel corso dell'ora e
mezza del documentario scorrono perciò suoni e stili diversi, raccontati nelle
tante lingue parlate dai protagonisti. Sounds and silence rivela come il suono
della ECM sia in realtà la somma di tanti suoni, di tanti addendi,
possibilmente differenti tra loro. Sounds and silence porta dentro la musica e
la visione di una esperienza che
in senso complessivo - Eicher, la sua filosofia, i musicisti, i lavori prodotti
- è protagonista da almeno trentacinque anni della musica creativa e di
qualità.
Il rapporto tra musica e cinema (ma forse dovremmo dire tra musica e immagine) è da sempre al centro di un gigantesco fraintendimento, generato in primo luogo dalla codificazione che di questa correlazione è stata fatta dal cinema hollywoodiano. La musica come mero commento sonoro di inquadrature e sequenze, come sottolineatura emotiva rispetto a ciò che è stato filmato, non produce, di fatto, risultati espressivi significativi. In realtà, la relazione tra suono e immagine è molto più profonda e complessa di quanto si possa immaginare e chiama in causa, in primo luogo, la questione filosofico-linguistica dell’accoglienza creativa e dell’ascolto.
Il rapporto tra musica e cinema (ma forse dovremmo dire tra musica e immagine) è da sempre al centro di un gigantesco fraintendimento, generato in primo luogo dalla codificazione che di questa correlazione è stata fatta dal cinema hollywoodiano. La musica come mero commento sonoro di inquadrature e sequenze, come sottolineatura emotiva rispetto a ciò che è stato filmato, non produce, di fatto, risultati espressivi significativi. In realtà, la relazione tra suono e immagine è molto più profonda e complessa di quanto si possa immaginare e chiama in causa, in primo luogo, la questione filosofico-linguistica dell’accoglienza creativa e dell’ascolto.
Un
lavoro estremamente affascinante, ricco di colori, suoni, passione, voglia di
raccontarsi e di mettere in evidenza i propri principi estetici.
La passione e la forte partecipazione con cui Eicher incontra il lavoro dei suoi musicisti conquistano, un trasporto e un coinvolgimento totali, ribadisce con forza Eleni Karaindrou. Una passione rivolta allo stesso tempo alla cura del particolare e all'aspetto generale.
La passione e la forte partecipazione con cui Eicher incontra il lavoro dei suoi musicisti conquistano, un trasporto e un coinvolgimento totali, ribadisce con forza Eleni Karaindrou. Una passione rivolta allo stesso tempo alla cura del particolare e all'aspetto generale.
<<Qualche tempo fa ho ricevuto da parte della
signora Marie Ferré, Ufficio Stampa ECM in Italia, il dvd di “Sounds and
Silence” grazie alla mediazione del giornalista e critico musicale
cosentino, direttore “Musica News” (CJC) Amedeo Furfaro. Ne sono rimasto
folgorato e così ho deciso subito di mettermi al lavoro traducendo in italiano
i sottotitoli del film perché diventasse un appuntamento di Falso Movimento. Il
risultato è un’opera eccezionale per diversi motivi: la difficoltà di
reperimento del film, il suo straordinario impatto visivo e sonoro, la
tenacia e la tecnica di uno dei più grandi discografici al mondo, Manfred
Eicher>>. (Giuseppe Scarpelli)
Ma
il mondo cinematografico di Eicher non si limita a questo documentario –viaggio,
la sua passione per i cinema segna infatti diverse tappe della sua vita e della
sua carriera. È doveroso aggiungere il suo ruolo all’interno del film “Wenn Aus
Dem Himme…(Quando dal cielo); pellicola dell’italiano Fabrizio Ferraro che vede
Manfred Eicher, il trombettista sardo Paolo
Fresu e il bandoneoista Daniele Di Bonaventura.
La
trama si svolge in un auditorium deserto, un luogo sospeso nel tempo e nello
spazio, due tra i più importanti musicisti jazz, Paolo Fresu e Daniele Di
Bonaventura, incontrano per la registrazione di un disco lo storico produttore
della ECM Manfred Eicher. Qui, di fronte ad una platea spettralmente vuota, si
sviluppa un lavoro artistico e artigianale in tutto analogo a quello di un
laboratorio rinascimentale. Un lavoro nel quale la ricerca sul suono,
l'esecuzione, la costruzione della struttura musicale, diventano espressioni di
una fuga senza moto.
In tal senso, il cinema di Fabrizio Ferraro, nella sua
diversità assoluta rispetto alla gran parte della produzione audiovisiva
italiana, rappresenta un territorio di libertà creativa nel quale il valore
dell’immagine e il valore del
suono assumono connotazioni che vanno decisamente in controtendenza rispetto
agli stilemi della cinematografia tradizionale.
Si tratta di un’operazione cinematografica che
trasporta il racconto visivo nella sua reale dimensione percettiva, sia a
livello ottico che a livello sonoro. La macchina da presa e i microfoni
predisposti da Ferraro, infatti, attendono che qualcosa accada, si mettono in
una condizione di ricezione del mondo che spazza via il luogo comune imperante
relativo al lavoro registico, inteso come atto di rapacità sul reale. Ma
cosa ascolta, cosa vede e cosa registra, il dispositivo messo in atto da
Ferraro? Presto detto: il processo di realizzazione discografica di un lavoro
musicale di un duo di notevole spessore.
Fabrizio Ferraro edifica un tessuto visivo-sonoro che
toglie di mezzo il concetto banale di rappresentazione di un fatto, di un
evento. Niente nel cinema di Ferraro è già filmato e già ascoltato.
Nel caso di Wenn Aus Dem Himmel… – Quando dal
cielo…, il film diviene una sorta di organismo autonomo che scavalca le
regole del cinema per collocarsi in una dimensione “altra”. Le immagini
dell’auditorium dove si registra il disco ECM vengono alternate a movimenti di
macchina (anche una panoramica a 360°) che fanno emergere la sublime armonia
delle colline marchigiane. Un viaggio in autostrada accompagna la visione dello
spettatore che improvvisamente viene deviata verso la riflessione interiore di
una figura femminile.
Ciò che colpisce riguardo questa impostazione è l’emancipazione espressiva (rispetto a talune ovvietà del linguaggio audiovisivo codificato) che sta alla sua base e che sovverte in modo sistematico quelle norme che fanno del cinema l’arte del già filmato, del già visto, del già sentito, dunque una forma di espressione sostanzialmente defunta.
Ciò che colpisce riguardo questa impostazione è l’emancipazione espressiva (rispetto a talune ovvietà del linguaggio audiovisivo codificato) che sta alla sua base e che sovverte in modo sistematico quelle norme che fanno del cinema l’arte del già filmato, del già visto, del già sentito, dunque una forma di espressione sostanzialmente defunta.
Di seguito alcuni recensioni del film:
“Wenn Aus Dem Himmel… – Quando dal cielo…, perdonate il gioco di parole, è un film filmante e non
filmato, nel senso che a ogni sua visione propone al fruitore non la certezza
di uno schema da subire ma la possibilità di una percezione che deve farsi
necessariamente attiva, costruendo ogni volta un nuovo film, e questo nuovo
film deve comunicarsi nell’ambito di esperienza estetica (e per estetica
intendiamo sentimento generato dalla percezione).”
“Significative,
inoltre, sono le riprese delle fasi della registrazione del disco, in un
auditorium deserto. La macchina da presa è posta, quasi sempre, alle spalle dei
due musicisti, o in una posizione non dominante rispetto ai protagonisti. In
tal modo, Ferraro evita l’esaltazione impropria e glamour dell’immagine dei due
grandi strumentisti e costringe lo spettatore ad abbandonarsi alla condizione
gratificante dell’immaginazione. Il suono percepito, in modo pressoché
acusmatico, si fa dunque (in maniera naturale) immagine e si manifesta come
significante.”
“Wenn Aus Dem Himmel… – Quando dal cielo… è, dunque, un potentissimo stimolatore di pensiero e
una sorta di efficace generatore di immagini; e proprio queste ultime conducono
ogni singolo spettatore verso un punto di arrivo che sembra sempre a portata di
mano ma che fortunatamente non si riesce mai a raggiungere.”
Tweelve moons |
Come detto all’inizio di questo post, ho provato a
tracciare le linee salienti di questo insolito personaggio, che con la volontà
di voler produrre ha in realtà creato.
Ed è con questa intenzione che Eicher ha
dato vita a quello che oggi è conosciuto come “il suono ECM”, ed è lui stesso
sottolinea il fatto che ogni registrazione ECM ha un suono diverso, perché “il
suono registrato è il risultato di un modo molto personale di sentire musica,
che richiede un atto di riflessione. La gente sfugge il silenzio perché non lo sopporta,
invece per me è sacro e bisogna guadagnarselo. Io lo cerco nella musica, cerco
l'evocazione del silenzio.
Io devo avere nei dischi ECM il più bel suono dopo il silenzio!”
Sapporo- Part 1 |
Questa definizione, scritta nel magazine Coda, divenne il manifesto
programmatico della casa di Monaco di Baviera.
Al di là del genere, del gusto o
dell’artista, traspare sempre un’infinita cura del suono, un viaggio a cavallo
degli armonici che risuonano nell’ambiente rimbalzando “dentro” l’ascoltatore
che viene trasformato in una cassa di risonanza a allo stesso tempo in un
vettore perfetto di emozione.
È per questo che i dischi ECM vengono
considerati molto spesso degli stati d’animo.
Eicher, come lui stesso afferma, è completamente indifferente ai confini e
alle categorie, per lui conta solo che la musica abbia una sua integrità e una
sua moralità, e questo lo spinge a scegliere il disco da registrare.
“La musica è il
centro della mia vita. E’ il nucleo essenziale , tutto il resto si irradia da
esso e sono sempre tornato li : per le sale da concerto , chiese e monolocali.
La musica è la mia vocazione : sessioni di registrazione dovrebbero avere
un’atmosfera unica che accende il desiderio di cambiare qualcosa o , se
necessario, di renderlo migliore, più perfetto . Per esempio per mettere in
discussione cose, discostarsi dalle procedure ideate durante le prove, cose che
erano abbastanza buone in concerto ma che cambiano nella solitudine di uno
studio di registrazione , dove si è concentrati su altre orecchie e questo
richiede una trasformazione.”
Somewhere over the rainbow |
(Keith Jarrett - Somewhere over the rainbow)