lunedì 16 maggio 2016

ECM: Le coraggiose scelte di Manfred Eicher



ECM è l'acronimo di Editions of Contemporary Music, un'etichetta discografica fondata da Manfred Eicher nel 1969 a Monaco di Baviera.

Ma definire ECM solo un'etichetta discografica, limitandosi a raccontarne le origini, segnalarne gli artisti o calcolare gli incassi , non risulterebbe riduttivo ma addirittura sterile.

Le considerazioni di carattere commerciale non rientrano in questa equazione e non è mio interesse analizzare questi aspetti, quanto lo è certamente sottolineare la mente e  il coraggio del suo fondatore Manfred Eicher.

Come spesso accade in una storia, ogni avvenimento saliente è frutto di un personaggio, del suo carattere e del suo "essere"; e forse,  oserei dire, della sua provenienza ancestrale.



È ovvio però che alcuni cenni storici in merito alla nascita e la storia di Ecm siano sicuramente doverosi per dare un’idea generale a chi per la prima volta sente il nome di questa etichetta.

Ma è meglio procedere con ordine, così da poter aver una visione chiara di questo “spazio sonoro” che porta il nome di ECM.

Come già detto, la label viene fondata nel 1969 a Monaco di Baviera  da Manfred Eicher.

Eicher, figlio d'arte,  da giovanissimo studia all’Accademia di Berlino, suona il basso e inseguito il contrabbasso nei Berliner Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan. Poi, folgorato dalla luce del jazz,  ha fonda la Ecm nel 1969, a 26 anni, dopo esser riuscito a trovare i fondi strettamente necessari allo scopo,  decide quindi di investire 16000 marchi per, cito testualmente,  "esprimere i suoi gusti musicali e i suoi desideri".

Si dice che la fortuna aiuta gli audaci, ma nel suo caso c'è stato molto altro: competenza, serietà, rigore assoluto nella scelta degli artisti e nella bontà delle registrazioni.

Eicher, sin dai suoi inizi,  ha uno stile e un modo di fare insolito, diverso dagli altri produttori;  lui non vuole produrre denaro, vuole produrre prima di tutto musica.

Così viaggia in lungo e in largo per l’Europa scegliendo di andare dove vivono i musicisti da scritturare, prenota studi di registrazione direttamente in quei luoghi e soprattutto offre delle possibilità a musicisti quasi del tutto sconosciuti.

Scommette su di loro,  ma soprattutto scommette sul suo modo di ascoltare.

Un esempio  su tutti è un chitarrista di 21 anni che Eicher aveva sentito su un disco del già noto Gary Burton, il nome del chitarrista è Pat Metheny.
Offramp



Il primo long playing è stato un pianoforte solo di Mal Waldron, «Free At Last», che non è mai uscito fuori catalogo, come del resto quasi tutta la produzione della casa.

Poi il suo fiuto ha fatto anche il resto.

Ha scritturato il sassofonista inglese John Surman, il sassofonista norvegese Jan Garbarek, prima sconosciuto e il chitarrista americano Bill Frisell.  Nel 1970 Eicher nota il pianista Keith Jarrett durante un tour europeo (o forse nel 1969: si dice che il produttore fosse tra il pubblico durante il trionfo ottenuto da Jarrett il 4 ottobre al Teatro Comunale di Bologna, ma non è stato possibile avere la conferma autentica). Ma Jarrett in America è sotto contratto discografico con la Impulse.

Così Eicher si accontenta di ottenere una firma per l'Europa e centra in pieno l'obiettivo: nel 1971 esce il long playing per pianoforte solo «Facing You», nel 1972 il doppio «Lausanne/Bremen» e nel 1975 il magnifico «Koln Concert».

Quest’ultimo disco è a tutt'oggi uno dei più venduti della storia del jazz (circa quattro milioni di copie) e sarà proprio Koln Concert a mettere definitivamente al riparo la giovane etichetta da qualsiasi sorpresa e, insieme ai due precedenti, a segnare l'inizio di una collaborazione esclusiva che dura tuttora.
 

Eicher dimostra un innato amore per l'ascolto; ascolto inteso nel modo più nobile ed elevato del termine: utilizzo le mie orecchie come un percorso, una strada che vede il suo arrivo dritto al centro del cuore.

Quello che poi è lo scopo primario della musica.

La ricerca di Eicher parte da elementi piuttosto semplici eppure spesso trascurati dalla maggior parte dei produttori.

E’ stato tra i primi produttori a concepire il jazz basandosi su un ascolto di tipo classico, per niente vicino alle musiche popolari (rock e pop, funk e blues) quanto di ordine aurico e – solo la definizione inglese può aiutare a capire meglio – orientata alla western classical music. D’altronde la cultura musicale americana del 900 era stata fino ad allora rappresentata per lo più, ed anche nel jazz, nell’ambito di un retaggio pop(olare). Coniugando questo approccio al suono a repertori e musicisti di estrazione differente, con particolari inclinazioni rispetto ad estetiche visionarie e spesso filmiche – sua passione della quale parleremo più avanti, quando era studente  e scappava dai corsi per rinchiudersi nei cinema a vedere film di Godard, Bresson, Truffaut, Bergman, Antonioni, Rossellini – ha declinato la sua ideologia.

L’arma vincente di Eicher è sicuramente il coraggio di osare, si affida totalmente al suo istinto e  cerca cocktail di musicisti e di generi che nessuno si azzarderebbe  nemmeno a pensare, dando spazio a progetti apparentemente folli che poi risultano essere  però vincenti .

Un esempio lo troviamo nei primi duetti “insoliti” come quello di Keith Jarrett (pianista) e Jan Garbarek (sax soprano) o di Barre Phillips e John Surman. 
Innocence

La sua ECM è una delle etichette indipendenti che meglio ha scandito la corsa del jazz negli ultimi quarant’anni, come in passato Prestige, Blue Note, Verve, Impulse e poche altre. Eicher ha lavorato in modo insolito, strano. Acerbo in termini di produzione, non conteneva avvisaglie e indizi che di lì a qualche tempo si sarebbero forgiati per creare la filosofia Ecm.
Innocence

Come già detto, il razzo di Eicher è partito dal lancio mondiale del sassofonista norvegese Jan Garbarek, ma continua nel tempo con il duo Gary Burton e Chick Corea, l’Art Ensemble of Chicago, gli Oregon, le panoramiche del chitarrista Terje Rypdal, il quarto mondo di Jon Hassell, il paradisiaco stormo di Bill Frisell, l’arte suprema di Charles Lloyd, il Brasile di Egberto Gismonti, Paul Bley e ovviamente Keith Jarrett , di cui ha prodotto buona parte della sua produzione, in piano solo, in trio, nell’European quartet, grandi capolavori: dai già citati Facing You e The Köln Concert a My song, Personal Mountains e Nude Ants; grandi best seller del settore.
My song


 
My song
     Ma in realtà sono molte altre le qualità della Ecm.

 (Le tappe della vita - Caspar David Friedrich)

Per esempio la maniera di confezionare i dischi, prima i vinili e ora i cd, utilizzando immagini che già di per sé sono opere d’arte.

Infatti Eicher è anche molto attento allo stile delle copertine e dei booklet dei dischi ECM e le sue copertine  trasudano arte in una forma  minimale ma efficace.

Sono un invito alla visione, e sono state spesso paragonate ai dipinti del pittore romantico Caspar David Friedrich, pieni di paesaggi  esterni e interni che accompagnano chi guarda e chi ascolta in uno stato di contemplazione, alla ricerca profonda di se stesso.

Copertina di "Silencio" - Arvo Part




 

Un altro indiscutibile punto di forza di ECM è poi la modalità di registrazione: la trasparenza, la riproduzione il più possibile fedele all’originale, il mantenimento dell’aura nonostante la sua riproducibilità tecnica,  queste le qualità sonore. Tutto ciò porta ad una direzione acustica, filosofica e artistica ma anche strettamente pratica della musica. Luoghi come l'auditorium di Lugano, dove l'acustica è perfetta e si può lavorare senza cuffie, ottenendo una dinamica straordinaria che invece con le cuffie non si può avere grazie a un percorso di registrazione in cui si possa fare a meno della postproduzione. "Abbiamo pochi giorni per lavorare e registrare - dice - due o tre, e quindi è necessario che gli artisti arrivino pronti in sala di registrazione". Sulla musica digitale, infine, Eicher non ha dubbi: "Non fa per me". Per il produttore tedesco catturare il suono significa catturarne la tridimensionalità, quello che lui chiama "idea-suono", che nelle compressioni dei formati digitali inevitabilmente si perde. E poi, conclude, "a me piace anche la sensazione tattile dell'oggetto, la sua veste grafica", caratteristica delle copertine dei dischi ECM, che nel formato 'liquido' non esistono.

Ma lasciamo alle parole dello stesso Eicher la possibilità di chiarire il suo pensiero : “La mia preoccupazione quando ho fondato ECM è stata quella di rispettare tutti gli aspetti della musica. Questo significava essere in grado di ascoltare ogni sfumatura dello strumento, ogni colore, e soprattutto rispettare le dinamiche del suono esattamente come il suono veniva dato dal musicista. Questo era un modo piuttosto diverso di registrare il jazz, ma il pubblico è stato sensibile ad esso.”

Come del resto è pratica nota, anche il rapporto tra arte e commercio in Eicher è chiaro, per niente ambiguo. L’uno non prescinde dall’altro, al contrario (The Köln Concert di Jarrett insegna) il disco può essere un prodotto di largo consumo, senza che ciò screditi l’essenza più intima dell’arte. Tutto, anche i minimi dettagli, contribuisce alla stessa causa, le foto, i booklet minimali. La creazione di un prodotto culturale, e che questo sia venduto il più possibile, quasi in tutto il mondo. Ciò che la Ecm in questi anni è riuscita a fare.
Il pionerismo è un altro elemento qualificante da non trascurare. Manfred è un anticipatore, uno scopritore, un acuto osservatore. Ha sdoganato la fertile scena del nord Europa negli anni ’70 così come ha svelato tanti da sud a est del mondo. E con l’Italia vanta un legame particolare, per la ECM incidono orami stabilmente diversi nostri musicisti. Enrico Rava che, dopo la parentesi di metà e fine anni ’70, è tornato in pianta
stabile nella scuderia. Come lui Gianluigi Trovesi, Stefano Bollani, Stefano Battaglia ed ultimamente anche Paolo Fresu vantano la collaborazione con ECM.

In un intervista Bollani parla della prima volta che entrò in sala con Eicher, della tensione che provava e di come si sentisse in soggezione di fronte a lui. La scaletta dell’album l’ha decisa Eicher e Bollani l’ha approvata. Ricorda poi come (ingenuamente dice Bollani) fece notare a Eicher come l’ultimo accordo dell’ultimo brano del disco fosse lo stesso con il quale il disco si apriva e Eicher rispose <<Yes, of course!>>.

 


Nel 1984 Eicher inaugura un altro ramo della ECM: la ECM New Series, dove si dedica interamente alla musica classica e fa un grande esordio: Tabula Rasa di Arvo Pärt. Ma quello che più contraddistingue questo nuovo ramo della ECM è come Eicher riesca ancora  a far suonare insieme idee che fra  loro sembrano separate. Ad esempio, il più grande successo che la ECM New Series registra è Officium con Jan Garbarek e il quartetto vocale Hilliard Ensemble, registrato all’interno del monastero di Saint Gerold. Sono queste notevoli intuizioni che fanno di Eicher un grande produttore.  Anche in questo frangente, il suo scopo non è quello di fare ciò che più richiede il mercato o ciò che più si ascolta al momento.
arvo part
Arvo part

Lui è sempre alla ricerca del bello, dell’esperimento che riesce a trasmettere qualcosa a chi lo ascolta. Nelle sue produzioni non c’è jazz preso e rielaborato dal Real Book, ne la tradizione europea. Ci sono entrambe ma con il tocco originale dell’artista, di chi pensa quello che deve essere suonato. Per questo Eicher cura tutte le sue produzioni dall’inizio alla fine, da quando i musicisti sono in sala d’incisione fino alla copertina dell’album ed è per questo che la linea dell’ECM conserva in ogni produzione quel minimalismo estetico che fa da filo conduttore.


Così viene un giornalista britannico  si rivolge a Manfred Eicher prima di iniziare a intervistarlo:

“Un uomo seduto in una stanza, riflette sulla musica e ascolta i silenzi, i riverberi, le emozioni di un flusso sonoro che arriva da lontano. Comincia così il viaggio di Manfred Eicher intorno al mondo alla ricerca delle fonti della musica, nei luoghi in cui i suoi interpreti vivono e gli strumenti con cui lavorano.
Una piccola chiesa in Lituania, con una pala d'altare splendidamente colorata. Un coro, una sezione di archi. Un direttore illuminato dalla luce fioca accesa sul leggio. Due uomini ascoltano la musica infondo alla sala, commentano, si interrogano, interrompono l'esecuzione, discutono con il direttore, riprendono la partitura. L'incontro con Arvo Pärt è la prima tappa del percorso attraverso concerti e le sedute di registrazione. Un racconto scandito da parole e passione, dai preparativi e dall'attenzione al particolare: tutto ciò che serve per portare l'idea musicale dalla sua concezione fino alla sua manifestazione in disco e, soprattutto, in concerto.

La risposta di Eicher riguardo l’incontro con il compositore estone Arvo Part:

"Mi piacciono gli incidenti casuali. Non vado ai festival perché lì in genere ci sono musicisti già noti. Ascolto quello che capita e spesso scopro grandi artisti solo per caso. Così è successo per Arvo Part. Guidavo da Stoccarda a Zurigo, era una notte senza stelle, e in radio trasmettevano una musica che aveva qualcosa di solitario e speciale che non avevo mai sentito. Mi sono fermato per ascoltarla, ma mi è servito un anno e mezzo per sapere che era musica di Arvo Part". Così il musicista e produttore discografico tedesco, Manfred Eicher, fondatore della casa discografica Ecm, racconta al Prix Italia di Torino il suo incontro con la musica del compositore estone. Era il 1980, un incontro casuale "perché spesso i grandi talenti della musica si incontrano per caso. Io non vado ai festival - sottolinea Eicher - perché lì ci sono musicisti già noti e a me piace scoprirli"

In realtà Part era già un compositore affermato, ma da quel momento inizia una collaborazione tra il musicista e la ECM di Eicher che porta alla registrazione per l'etichetta tedesca delle più importanti composizioni di Part.

Per Eicher quello che conta è "il suono, la sua scultura", e vuole "registrare diversamente da come si registrava allora".
Arvo part
 
Tanto per segnare le possibili differenze il secondo personaggio incrociato nel percorso è la compositrice greca Eleni Karaindrou.

E poi ancora Anouar Brahem, Nik Bärtsch e i Ronin, Dino Saluzzi, Anja Lechner, Marilyn Mazur e il duo formato da Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia. Le matrici etniche possono essere un substrato comune a molti dei personaggi coinvolti, ma entrano in gioco anche sperimentazione e jazz, intensità delle interpretazioni, pulizia del suono e cura dei particolari. Senza dubbio la scelta dei personaggi pone in primo piano non tanto i personalismi dei singoli - Eicher, compreso - quanto la forza complessiva del percorso.
La forza della ECM viene da una traiettoria che si è mantenuta ragionevolmente al di sopra del livello di fiducia consentito dagli ascoltatori, oltre che dal livello medio delle produzioni. Scelte intelligenti - come quella di non svendere il catalogo o di non rieditare in maniera costante e capziosa i lavori aggiungendo bonus track al grido di definitive edition - hanno dato forza all'etichetta. La coerenza del prodotto e tanti altri elementi hanno fatto si che il marchio ECM fosse al di sopra del singolo disco - e, di conseguenza, al di sopra dell'eventuale flop di qualche lavoro.
Forse è anche inutile dirlo, ma avviare al giorno d'oggi una raccolta di musica contemporanea - per riprendere l'acronimo dell'etichetta, Editions of Contemporary Music - è una scommessa con un punteggio decisamente più alto rispetto al momento in cui la stessa idea venne messa in pratica da Eicher. Difficoltà che rende ancor più prezioso il ruolo di suscitatore avuto dal produttore in questi anni.



SOUNDS AND SILENCE (Travels with Manfred Eicher)


Sounds and silence, Travels with Manfred Eicher, documenta il modo di intendere la musica e il processo che informa i dischi della ECM. I due registi, gli svizzeri Peter Guyer e Norbert Wiedmer, non celebrano Eicher - e, d'altronde, non ce n'è nessun bisogno, i dischi parlano da soli. Le immagini e le musiche riportano allo spettatore le intenzioni di Eicher, il suo percorso sempre coerente quanto aperto al continuo divenire della musica, a ridefinire le griglie espressive a seconda delle necessità emotive.

Guyer e Wiedmer accostano di continuo le singole esperienze e questo rende un grande servizio al documentario: il filo narrativo è sviluppato in maniera del tutto corale e sembra di vedere i vari protagonisti passarsi il testimone del racconto per mezzo di parole e musica, per mezzo di esperienze e ricordi.

I registi svizzeri Norbert Wiedmer e Peter Guyer hanno seguito per cinque anni Manfred Eicher durante le sessioni di registrazioni in tutto il mondo, condensando il loro lavoro in un’ora e mezza di registrazione che ha fatto il giro di diversi festival, ad iniziare dal Festival di Locarno.

 <<Ovunque Manfred opera il suo impegno è al cento per cento. Questa è la natura della passione. Egli dedica tutto sé stesso in quel momento e sostiene completamente l’ artista>>, affermano P.Guyer e N. Wiedmer.

<<Per Eicher la musica non è un oggetto di consumo. Dentro ci sono gli artisti, le loro storie, il loro universo, il loro talento. In un’epoca in cui dominano stelle della musica costruite per la  Tv, una marea di videoclips e di colonne sonore, vogliamo proporre un altro modo di vedere la musica, catturando i suoni e dando spazio al silenzio>>.

Sounds and silence è un racconto di voci e di immagini in presa diretta. Ambienti e lingue diverse, colori e luci estremamente differenti, situazioni varie dove i musicisti e il loro produttore danno corpo alla musica. I due registi svizzeri con una sapiente scelta di luci e inquadrature miscelano il racconto con le immagini raccolte intorno agli interpreti, ispirazioni e moniti concreti, vita quotidiana e avvenimenti epocali come la guerra in Libano. Nel corso dell'ora e mezza del documentario scorrono perciò suoni e stili diversi, raccontati nelle tante lingue parlate dai protagonisti. Sounds and silence rivela come il suono della ECM sia in realtà la somma di tanti suoni, di tanti addendi, possibilmente differenti tra loro. Sounds and silence porta dentro la musica e la visione di una esperienza che in senso complessivo - Eicher, la sua filosofia, i musicisti, i lavori prodotti - è protagonista da almeno trentacinque anni della musica creativa e di qualità.
Il rapporto tra musica e cinema (ma forse dovremmo dire tra musica e immagine) è da sempre al centro di un gigantesco fraintendimento, generato in primo luogo dalla codificazione che di questa correlazione è stata fatta dal cinema hollywoodiano. La musica come mero commento sonoro di inquadrature e sequenze, come sottolineatura emotiva rispetto a ciò che è stato filmato, non produce, di fatto, risultati espressivi significativi. In realtà, la relazione tra suono e immagine è molto più profonda e complessa di quanto si possa immaginare e chiama in causa, in primo luogo, la questione filosofico-linguistica dell’accoglienza creativa e dell’ascolto.

Un lavoro estremamente affascinante, ricco di colori, suoni, passione, voglia di raccontarsi e di mettere in evidenza i propri principi estetici.
La passione e la forte partecipazione con cui Eicher incontra il lavoro dei suoi musicisti conquistano, un trasporto e un coinvolgimento totali, ribadisce con forza Eleni Karaindrou. Una passione rivolta allo stesso tempo alla cura del particolare e all'aspetto generale.


<<Qualche tempo fa ho ricevuto da parte della signora Marie Ferré, Ufficio Stampa ECM in Italia, il dvd di “Sounds and Silence grazie alla mediazione del giornalista e critico musicale cosentino, direttore “Musica News” (CJC) Amedeo Furfaro. Ne sono rimasto folgorato e così ho deciso subito di mettermi al lavoro traducendo in italiano i sottotitoli del film perché diventasse un appuntamento di Falso Movimento. Il risultato è un’opera eccezionale per diversi motivi: la difficoltà di reperimento del film,  il suo straordinario impatto visivo e sonoro, la tenacia e la tecnica di uno dei più grandi discografici al mondo, Manfred Eicher>>. (Giuseppe Scarpelli)


Ma il mondo cinematografico di Eicher non si limita a questo documentario –viaggio, la sua passione per i cinema segna infatti diverse tappe della sua vita e della sua carriera. È doveroso aggiungere il suo ruolo all’interno del film “Wenn Aus Dem Himme…(Quando dal cielo); pellicola dell’italiano Fabrizio Ferraro che vede Manfred Eicher,  il trombettista sardo Paolo Fresu e il bandoneoista Daniele Di Bonaventura.

La trama si svolge in un auditorium deserto, un luogo sospeso nel tempo e nello spazio, due tra i più importanti musicisti jazz, Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura, incontrano per la registrazione di un disco lo storico produttore della ECM Manfred Eicher. Qui, di fronte ad una platea spettralmente vuota, si sviluppa un lavoro artistico e artigianale in tutto analogo a quello di un laboratorio rinascimentale. Un lavoro nel quale la ricerca sul suono, l'esecuzione, la costruzione della struttura musicale, diventano espressioni di una fuga senza moto.

In tal senso, il cinema di Fabrizio Ferraro, nella sua diversità assoluta rispetto alla gran parte della produzione audiovisiva italiana, rappresenta un territorio di libertà creativa nel quale il valore dell’immagine e il valore del suono assumono connotazioni che vanno decisamente in controtendenza rispetto agli stilemi della cinematografia tradizionale.

Si tratta di un’operazione cinematografica che trasporta il racconto visivo nella sua reale dimensione percettiva, sia a livello ottico che a livello sonoro. La macchina da presa e i microfoni predisposti da Ferraro, infatti, attendono che qualcosa accada, si mettono in una condizione di ricezione del mondo che spazza via il luogo comune imperante relativo al lavoro registico, inteso come atto di rapacità sul reale.  Ma cosa ascolta, cosa vede e cosa registra, il dispositivo messo in atto da Ferraro? Presto detto: il processo di realizzazione discografica di un lavoro musicale di un duo di notevole spessore.

Fabrizio Ferraro edifica un tessuto visivo-sonoro che toglie di mezzo il concetto banale di rappresentazione di un fatto, di un evento. Niente nel cinema di Ferraro è già filmato e già ascoltato.

Nel caso  di Wenn Aus Dem Himmel… – Quando dal cielo…, il film diviene una sorta di organismo autonomo che scavalca le regole del cinema per collocarsi in una dimensione “altra”. Le immagini dell’auditorium dove si registra il disco ECM vengono alternate a movimenti di macchina (anche una panoramica a 360°) che fanno emergere la sublime armonia delle colline marchigiane. Un viaggio in autostrada accompagna la visione dello spettatore che improvvisamente viene deviata verso la riflessione interiore di una figura femminile.
Ciò che colpisce riguardo questa impostazione è l’emancipazione espressiva (rispetto a talune ovvietà del linguaggio audiovisivo codificato) che sta alla sua base e che sovverte in modo sistematico quelle norme che fanno del cinema l’arte del già filmato, del già visto, del già sentito, dunque una forma di espressione sostanzialmente defunta.

Di seguito alcuni recensioni del film:

“Wenn Aus Dem Himmel… – Quando dal cielo…, perdonate il gioco di parole, è un film filmante e non filmato, nel senso che a ogni sua visione propone al fruitore non la certezza di uno schema da subire ma la possibilità di una percezione che deve farsi necessariamente attiva, costruendo ogni volta un nuovo film, e questo nuovo film deve comunicarsi nell’ambito di esperienza estetica (e per estetica intendiamo sentimento generato dalla percezione).”

“Significative, inoltre, sono le riprese delle fasi della registrazione del disco, in un auditorium deserto. La macchina da presa è posta, quasi sempre, alle spalle dei due musicisti, o in una posizione non dominante rispetto ai protagonisti. In tal modo, Ferraro evita l’esaltazione impropria e glamour dell’immagine dei due grandi strumentisti e costringe lo spettatore ad abbandonarsi alla condizione gratificante dell’immaginazione. Il suono percepito, in modo pressoché acusmatico, si fa dunque (in maniera naturale) immagine e si manifesta come significante.”

“Wenn Aus Dem Himmel… – Quando dal cielo… è, dunque, un potentissimo stimolatore di pensiero e una sorta di efficace generatore di immagini; e proprio queste ultime conducono ogni singolo spettatore verso un punto di arrivo che sembra sempre a portata di mano ma che fortunatamente non si riesce mai a raggiungere.”
Tweelve moons

Come detto all’inizio di questo post, ho provato a tracciare le linee salienti di questo insolito personaggio, che con la volontà di voler produrre ha in realtà creato.

Ed è con questa intenzione che Eicher ha dato vita a quello che oggi è conosciuto come “il suono ECM”, ed è lui stesso sottolinea il fatto che ogni registrazione ECM ha un suono diverso, perché  “il suono registrato è il risultato di un modo molto personale di sentire musica, che richiede un atto di riflessione. La gente sfugge il silenzio perché non lo sopporta, invece per me è sacro e bisogna guadagnarselo. Io lo cerco nella musica, cerco l'evocazione del silenzio. Io devo avere nei dischi ECM il più bel suono dopo il silenzio!”
Sapporo- Part 1

Questa definizione, scritta nel magazine Coda, divenne il manifesto programmatico della casa di Monaco di Baviera.



Al di là del genere, del gusto o dell’artista, traspare sempre un’infinita cura del suono, un viaggio a cavallo degli armonici che risuonano nell’ambiente rimbalzando “dentro” l’ascoltatore che viene trasformato in una cassa di risonanza a allo stesso tempo in un vettore perfetto di emozione.

È per questo che i dischi ECM vengono considerati molto spesso degli stati d’animo.

Eicher, come lui stesso afferma,  è completamente indifferente ai confini e alle categorie, per lui conta solo che la musica abbia una sua integrità e una sua moralità, e questo lo spinge a scegliere il disco da registrare.

“La musica è il centro della mia vita. E’ il nucleo essenziale , tutto il resto si irradia da esso e sono sempre tornato li : per le sale da concerto , chiese e monolocali. La musica è la mia vocazione : sessioni di registrazione dovrebbero avere un’atmosfera unica che accende il desiderio di cambiare qualcosa o , se necessario, di renderlo migliore, più perfetto . Per esempio per mettere in discussione cose, discostarsi dalle procedure ideate durante le prove, cose che erano abbastanza buone in concerto ma che cambiano nella solitudine di uno studio di registrazione , dove si è concentrati su altre orecchie e questo richiede una trasformazione.”
Somewhere over the rainbow


 (Keith Jarrett - Somewhere over the rainbow)